Cosa non si sa sull'amore

“Lo splendido isolamento è per i pianeti, non per le persone”

S. Johnson

Nella società occidentale dipendenza emotiva è una brutta parola; è considerata segno di debolezza e immaturità o addirittura patologica.

Per decenni si è affermato che la capacità di separarsi dai genitori, dalle prime persone care fosse segno di forza emotiva. Con sospetto si è sempre guardato quei partner che manifestavano un eccessivo senso di unione definendoli troppo coinvolti o vicini. È comprensibile che oggi giorno le persone si vergognino del loro naturale bisogno di amore, conforto e rassicurazione.

 

In realtà le cose non stanno proprio così e anzi, ben lungi dall’essere segno di fragilità, una forte connessione emotiva è indice di sanità mentale. È l’isolamento emotivo a essere fatale e l’idea che si possa fare da soli disobbedisce alla natura. Gli esseri umani hanno bisogno di creare legami per sopravvivere. Essere umani equivale ad avere bisogno degli altri e questo non è un difetto o una debolezza.

 

L'amore fa bene alla salute, è scientifico! 

Le neuroscienze stanno mettendo in risalto ciò che forse abbiamo sempre saputo e cioè che un’unione amorevole è più potente del meccanismo base della sopravvivenza, la paura. La connessione serve anche per crescere, perché quando disponiamo di vicinanza e connessione siamo più sani e felici: un costante supporto emotivo abbassa la pressione sanguigna e rinforza il sistema immunitario.

 

Per quanto possa essere paradossale la dipendenza ci rende più indipendenti, eh si perché proprio attraverso un legame sicuro che possiamo sentirci liberi e sicuri di esplorare, di uscire nell’ignoto, affrontare sfide e crescere come esseri umani: se ci pensate bene è difficile essere aperti a nuove esperienze quando tutte le nostre energie vengono investite in preoccupazioni sulla propria sicurezza, quando non ci sentiamo con le spalle coperte.

Il fatto di capire che le persone amate sono il nostro rifugio sicuro nelle vicissitudini e devastazioni della vita ha permesso di acquisire informazioni su ciò che determina il successo e l’insuccesso di una relazione sentimentale.

Pensiamo ad un individuo come a una casa, nella parte inferiore, le fondamenta, ci sono i bisogni primari di conforto, vicinanza, cure, rassicurazioni, cablati in migliaia di anni di evoluzione; al secondo piano, le strategie impiegate con tali bisogni, fidarsi, difendersi…; al terzo piano ci sono gli atteggiamenti e le convinzioni sulle relazioni affettive, che cosa ci si aspetta e di cosa si ha diritto. In cima si trova la parte visibile al partner, il comportamento attuale.

 

Le coppie in difficoltà tendono a focalizzare la loro attenzione su dettagli specifici perdendo di vista il quadro generale.

Ci si concentra solo su quello che si vede e si sente: litigi per i figli, per i soldi, per i suoceri, delusioni in merito al sesso, tradimenti…ma se teniamo conto della prospettiva appena delineata in merito alla relazione come rifugio emotivo sicuro i conflitti di coppia assumono il loro reale significato: si tratta di proteste che esprimono il terrore contro lo sgretolamento della relazione e di richieste per un nuovo impegno emotivo. La rabbia espressa attraverso i conflitti è spesso secondaria ad un più profondo sentimento di paura e se potessimo fare un fermo immagine riusciremmo a coglierla nel viso del partner.

 

Ci soffermiamo troppo su quello che appare, sia quando in gioco ci sono le nostre emozioni, sia quando in gioco sono quelle altrui. Quello che ora si sa da diversi studi è che la sofferenza espressa nelle relazioni infelici è un ‘emozione composita, costituita da rabbia esteriore, tristezza più profonda dovuta alla sensazione di non essere più apprezzati dall’altra persona e la più profonda paura di essere rifiutati e abbandonati. Poter comprendere tutto questo può spingerci ad essere più attenti e ponderati rispetto alle nostre relazioni più preziose.

 

Cogliere e mostrare quello che sta “sotto coperta”, in qualsiasi relazione affettiva consente di cambiare il copione di quella relazione con effetti e ricadute positive sull’altro.

 

Come evidenzia il biologo Frans De Wall, non si può sfuggire alla realtà di dipendere dagli altri. È un dato di fatto.

Se dipendenza/vulnerabilità vengono riconosciute e gestite adeguatamente sono fonte di migliori qualità umane, empatia, bontà e collaborazione.

 

di Katia e Sara Santarelli

 

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