Quando fare la madre diventa difficile

Non sentirti diversa.
Tu non sei diversa.
Sei unica.
Nel bene e nel male.
Coccola il tuo bene, sopporta il tuo male.
E ringrazia sempre di essere come sei.
Persino quando esserlo significherà soffrire con un’ intensità superiore a quella di qualcun altro.

Massimo Gramellini

La nascita di un figlio, sebbene voluto e desiderato, può rappresentare un evento stressante nella vita di una donna.

La marcata diminuzione del sonno e altri cambiamenti uniti alla difficoltà a prendersi cura di se stesse catapultano le donne in una condizione psicologica e fisica stressante caratterizzata da fattori molteplici dove la stanchezza ne fa da sfondo.

La sofferenza è legata non solo alla perdita delle abitudini di “Prima” ma anche alle caratteristiche psicologiche individuali già presenti ancorché latenti prima della nascita del figlio.

 
Spesso le donne si ritrovano a rivivere nel ruolo inverso il legame materno e filiale originario e se questo è stato in qualche modo disfunzionale potrebbe influire sul nuovo legame con il figlio.

 

Al riguardo, riportiamo un piccolo estratto di un pensiero di una paziente che si è resa disponibile a condividere in questo articolo, come sia riuscita a cogliere e successivamente a sciogliere il nodo mentale che non le permetteva di vivere pienamente e in modo compassionevole la sua nuova identità di madre.

 

“Mi perdono per aver detto che i figli ti rovinano la vita perché quando arrivi a dire una cosa del genere vuol dire che la fatica ti allontana dalla verità... Ti fa perdere la bussola, come un vortice in cui vengono confusi i pesi e le misure...”

 

Tale paziente si è permessa di mostrare senza veli la propria fragilità avendo però la capacità di perdonarsi e di essere comprensiva e gentile verso quella parte di lei nuova, cioè l’essere madre. Purtroppo siamo spesso bombardati da informazioni devianti sull’idea di essere madre, come ad es. la mamma deve amare sopra ogni cosa, la mamma troverà le forze, la mamma deve sacrificare tutto ecc….

 

Questo è un ideale e come ogni ideale si scontra con la realtà.

 

Nel caso di questa donna, la sua difficoltà si è concretizzata nel fatto che una parte di lei non le permetteva di chiedere aiuto, facendola sentire sola e cercando di difenderla da un’ altra parte di sé che la criticava come una cattiva mamma ogni qualvolta lei si sentiva stanca, o desiderosa di fare semplicemente altro, come una passeggiata, un caffè con un’amica, prendersi cioè semplicemente un momento per sé, anche se solo pensarlo risultava impossibile.

Una parte di lei quindi la faceva sentire sbagliata e non all’altezza, insomma la faceva sentire una cattiva madre.

Il bisogno naturale e fisiologico di prendersi cura di sé si è scontrato con un meccanismo mentale potente di forte autocritica portando il suo sistema nervoso in tilt. 

Si sentiva continuamente in trappola con pensieri di questo genere “non posso scappare, non posso pensare di non volere ORA essere madre, non posso uscire con un amica, e volte non posso neanche pensarlo”.

Al contempo aveva tuttavia anche altri pensieri e sentimenti contrastanti verso di sé come ad es. “devo essere una buona madre, una buona madre non pensa queste cose della figlia, una buona madre non può non avere voglia di giocare con la figlia”.

La dicotomia di questi pensieri contrastanti e coesistenti hanno alimentato i suoi sensi di colpa in un loop infinito, in un circolo vizioso.

Questa paziente lo ha spezzato e ne è uscita.

Come?

Grazie alle sue risorse tra cui la prima e la più importante è stata quella di chiedere aiuto.

La seconda è stata quella di accettare di essere umana.

 

Le frasi, riportate all’ inizio del testo e pronunciate dalla paziente a se stessa, fanno intravedere il primo passo verso una relazione madre-figlia meno idealizzata ma decisamente più sana.

 

Le suddette frasi denotano un’acquisita consapevolezza non solo dei propri limiti ma anche delle proprie risorse nonché la possibilità di perdonarsi e di essere meno esigente, accettando la coesistenza di tutte queste parti; in altre parole accettando di essere madre e continuando ad essere un individuo.

 

di Katia e Sara Santarelli

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