Vivere nella paura

La paura è una risposta emotiva adattiva che ci spinge a proteggerci dai pericoli. Siamo biologicamente dotati della capacità di valutare il pericolo e la sicurezza, abilità che è stata coniata da S. Porges con il termine neurocezione.

In alcune persone per diverse ragioni, questa capacità può risultare fallace e questo significa che i meccanismi di sopravvivenza continuano ad agire a loro svantaggio con una risposta non adeguata alle situazioni di pericolo.

 

Cosa succede al nostro organismo quando si trova a lottare per la sopravvivenza?

Il sistema nervoso autonomo regola tre stati fisiologici fondamentali e il livello di sicurezza sperimentato determina l’attivazione di uno di essi in un particolare momento.

Se ci si sente minacciati si va istintivamente al primo livello, il coinvolgimento sociale, chiediamo aiuto e supporto alle persone intorno a noi. Ma se nessuno ci presta aiuto o ci troviamo immediatamente in pericolo, l’organismo passa ad una modalità più primitiva di sopravvivenza, attacco/fuga, il secondo livello: reagiamo con l’attacco chi ci sta minacciando o scappiamo verso un posto sicuro. Tuttavia, se neanche questo livello funziona, quindi non riusciamo a fuggire perchè siamo trattenuti e non possiamo difenderci, l’organismo cerca di preservarci, attivando l’ultimo livello di emergenza, il vagale dorsale complesso: questo è il momento in cui ci distacchiamo, ci congeliamo o collassiamo, sostanzialmente ci stiamo spegnendo. Una volta subentrato questo sistema le altre persone cessano di esistere così come noi stessi, la consapevolezza si spegne e possiamo non avvertire più dolore fisico ed emotivo.

 

Che ripercussioni ha nella vita delle persone un meccanismo di SOS che inizia a suonare a vuoto?

Se una persona rimane bloccata su una modalità di sopravvivenza, le sue energie sono impiegate per combattere nemici invisibili, il che non lascia spazio per il nutrimento, la cura, l’amore. Questo significa che finché la mente si difende da assalti inesistenti i nostri legami più intimi ne sono minacciati, insieme alla capacità di immaginare, pianificare, giocare, apprendere e prestare attenzione ai bisogni delle altre persone.

 

Le persone troppo vigili, che costantemente hanno attivo il secondo livello di sicurezza, spesso fanno fatica a godersi pienamente ogni momento, i piaceri e le soddisfazioni che la vita ha da offrire, possono avvertirle ma non abbastanza a lungo. Molte di queste potrebbero riuscire a sentirsi al sicuro nelle relazioni solo se riescono a limitare i contatti sociali a conversazioni superficiali; una persona che si avvicina troppo, emotivamente o fisicamente, potrebbe provocare reazioni intense, a tal punto da spingere queste persone a mettere in atto delle modalità difensive, aggressive o di distacco.

 

Quindi, per esempio, con una modalità così attiva si potrebbe avere difficoltà a mantenere o costruire relazioni affettive perché sempre sul chi va là o pronti a vedere qualcosa di “storto o poco chiaro” che potrebbe spingerli ad aggredire il partner o a prenderne le distanze: ogni osservazione o richiesta di vicinanza potrebbe diventare una miccia che accende un campanello di allarme! E la sensazione che molto spesso dilaga in persone che vivono problematiche di questo tipo è l’estrema confusione nel capire quanto a volte sia giusto prendere le distanze da certe relazioni e quanto sia condizionato dal loro “modo di funzionare”.

 

Come sottolinea Porges raggiungere un qualsiasi tipo di intimità profonda, un abbraccio intimo per esempio, richiede il concedersi di sperimentare un’immobilizzazione senza paura. Per alcune persone discernere quando sono realmente al sicuro da quando sono in pericolo potrebbe essere complicato.

È possibile tuttavia aiutare le persone a rispondere adeguatamente a situazioni di pericolo, a disattivare le manovre difensive che in un passato lontano ne hanno assicurato la sopravvivenza ma cosa più importante a recuperare la capacità di percepire la sicurezza, la rilassatezza e la vera reciprocità.

Non possiamo sentirci emotivamente vicini a un altro essere umano se il nostro sistema di difesa non si spegne temporaneamente. Per giocare, accoppiarsi e nutrire i propri piccoli il cervello ha bisogno di disattivare la naturale vigilanza.

La combinazione di approcci terapeutici mirati ad attivare il coinvolgimento sociale con metodi finalizzati a calmare la tensione fisica nel corpo, alla consapevolezza viscerale possono risultare utili ed efficaci nell’aiutare le persone a modificare gli stati di attacco e fuga, a riorganizzare la loro percezione del pericolo e ad aumentare la capacità di gestire le relazioni.

 

Bibliografia Il Corpo accusa il colpo di B.Van Der Kolk

 

di Sara e Katia Santerelli

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