Sindrome da crocerossina: cosa è e come uscirne

“Mi danno per aiutarvi, per sentirmi vista e riconosciuta

che voi nemmeno vi accorgete

di quanto c’è di me dietro a questi gesti,

 tanto forte è il mio aiuto

tanto spesso è il velo che mi nasconde …

beffarda alle volte è la vita che mi rende trasparente attraverso gesti clamorosi”

Katia & Sara

 

 

Spirito da crocerossina/o? Da dove viene, cosa si cela dietro a questa naturale tendenza ad adoperarsi per gli altri, ad essere sempre disponibili, pronti a salvare il mondo, a soddisfare i bisogni altrui?

Proviamo a spiegare cosa significa in un’ottica Schema Therapy avere una modalità di questo genere, cosa comporta su di sé e sugli altri e cosa lo genera.

In linea generale questa modalità ha a che vedere con quello schema maladattivo che in Schema Therapy è definito con il termine di Autosacrificio: le persone con questo schema si focalizzano costantemente nel soddisfare i desideri degli altri, nel capirne i bisogni rinunciando in maniera sistematica e volontaria alle gratificazioni personali, ai propri bisogni per quelli altrui.

 

Normalmente le persone con questo schema hanno un temperamento profondamente empatico e lo manifestano con un’eccessiva sensibilità alle sofferenze altrui e molto spesso sentendosi in colpa quando si focalizzano sui propri bisogni.

Nelle conversazioni tendono ad ascoltare piuttosto che a parlare di sé, si occupano degli altri ma poco di sé stessi, faticano ad essere dirette e ad esprimere chiaramente le loro richieste, avvertono imbarazzo quando l’attenzione cade su di sé… dando un’immagine complessiva di persona saggia e non bisognosa di aiuto.

 

Che cosa può spingerle ad essere cosi accudenti nei confronti degli altri?

Le ragioni più comuni di un comportamento del genere sono:

  • alleviare o evitare sofferenze alle altre persone “non voglio che soffra…”
  • mettere in pratica un comportamento considerato giusto “una brava amica fa certe cose…”
  • evitare di sentirsi sbagliati, egoisti, cattivi, colpevoli “è colpa mia se dopo sta male…se facessi così sarebbe da egoisti”
  • preservare le relazioni con le persone considerate bisognose “non posso non aiutarla, come farebbe senza di me, sono il suo unico punto di riferimento…”

Spesso le persone con questo schema, con difficoltà riescono a riconoscere il loro comportamento come maladattivo e poco utile al loro benessere, e spesso si convincono di agire per propria scelta e senza aspettarsi nulla in cambio; essere in questa modalità fa sentire bene, utili nell’occuparsi degli altri, giusti perché altruisti e moralmente impeccabili, visti e vicini agli altri perché capaci di guadagnarsi la simpatia e la stima.

 

La tendenza ad aiutare gli altri di per sé non è patologica, ma anzi è una caratteristica distintiva di noi esseri umani che nel corso dei millenni ci ha permesso di diventare la specie più potente del pianeta; questa innata tendenza a dare e ricevere aiuto può essere trovata di frequente in un numero di individui sani, spesso senza ripercussioni cliniche, se non assume dimensioni eccessive.

Tuttavia, talvolta le ripercussioni ci sono e vanno a ledere proprio i bisogni della persona stessa generando sofferenza e frustrazione per il fatto di sentire i propri bisogni non adeguatamente soddisfatti, sviluppando di conseguenza sensazioni di risentimento proprio verso le persone di cui ci si è presi cura finora.

 

Normalmente chi funziona in questo modo ha alle spalle un background caratterizzato dalla presenza di un genitore debole, bisognoso di cure, immaturo, malato o depresso e in cui sin da piccolo ha dovuto ricoprire il ruolo di bambino-genitore.

Normalmente chi funziona in questo modo presenta in maniera più o meno accentuata lo schema di deprivazione emotiva, quello schema che porta le persone a sentire di non poter ricevere aiuto, sostegno e comprensione da parte degli altri, di non poter fare affidamento su nessuno; alcuni possono sentirsi soli e incompresi, altri privi di amore, invisibili e vuoti. Le persone con questo schema possono ritenere i loro bisogni insignificanti oppure essere convinti che chiedere sia un segno di debolezza.

 

La deprivazione emotiva e l’autosacrificio sono spesso correlati e chi tende a sacrificarsi per gli altri generalmente si sente anche emotivamente trascurato. Poiché non sente intimamente di poter ricevere ciò di cui ha bisogno, non lo chiede e in questo modo si preclude la possibilità di ottenerlo. Agli occhi esterni potrebbe sembrare una persona forte, indipendente dagli altri, saggia e non bisognosa di aiuto, spingendo di riflesso gli altri a non interessarsi a lui, a non chiedere, a non offrire conforto, a non avvicinarsi intimamente alimentando ulteriormente il suo senso di deprivazione “io ci sono sempre per gli altri ma gli altri non ci sono mai per me, mai nessuno che mi chiede come sto o se ho bisogno di qualcosa…”. Spesso ad alimentare questo circolo c’è la convinzione che le persone che gli stanno vicino dovrebbero sapere ciò di cui ha bisogno, senza che sia necessario chiederlo, dando per scontato che anche gli altri possano funzionare allo stesso modo “non è compito mio, non è giusto che sia io a chiederlo, gli altri dovrebbero sapere cosa ho più bisogno… dovrebbero fare quello che normalmente faccio io con loro…”

 

In alcuni casi la deprivazione emotiva può spingere la persona ad assumere un atteggiamento fortemente evitante fino a condurlo ad un’esistenza solitaria: convinto di non poter ottenere assolutamente niente dalle relazioni tenderà ad evitare qualsiasi rapporto intimo o a mantenere un atteggiamento fortemente distaccato.

È comprensibile quanto questi due schemi possano alimentarsi a vicenda, più mi sento solo e trascurato più mi avvicino agli altri sacrificandomi e più mi autosacrifico più mi sento solo e deprivato.  

 

Come uscirne dalla sindrome da crocerossina?

  • Cercando di capire i costi di una modalità spinta all’autosacrificio, quanto è alto il prezzo che si paga a causa di questo schema
  • Comprendendo che tutti hanno il diritto di soddisfare le proprie esigenze, che la cura e l’attenzione è un bisogno primario come l’ossigeno e l’acqua
  • Riflettendo sul senso di responsabilità nei confronti degli altri: non è necessario e doveroso dedicarsi assiduamente agli altri, è possibile rallentare la presa senza pensare di danneggiarli.
  • Imparando a chiedere, ad ascoltarsi, a lasciare che gli altri si occupino di voi, a mostrare le proprie fragilità.

 

di Katia e Sara Santarelli

CONTATTACI

Per favore, inserisci il codice:

Nota: I campi con l'asterisco sono richiesti

Scrivi commento

Commenti: 0